Censire, archiviare, penetrare (ad Atena Lucana)

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di Salvatore Medici

Il troppo ingombra, blocca i passi e a volte il respiro che circola nella mente, il troppo inceppa. Eppure Alessandro, Martina, Benedetta e tanti altri ancora chiedono quantità. Assai. A occhio, quanto basta, quanto ne serve, che quello che arriva è buono, comunque. Foto, video, audio, testi, persone, oggetti, gesti, spazi, documenti, parole, pensieri, memoria. Troppo, tanto, ma basterà. E che appartengano a famiglie, cittadine e cittadini, residenti di una comunità, Atena Lucana. Che siano loro e tutto quello che con loro vive, quel troppo da prendere in prestito e intrecciarlo per farlo rivivere. La settimana conclusiva del Corso della Sapienza e dell’ICCD “La fotografia e il patrimonio culturale: progettazione e valorizzazione di Archivi di Comunità” è la pratica di 30 persone che ad Atena Lucana sperimentano nuove forme di valore da ricercare nella vita quotidiana di paese, entrando in punta di piedi nelle case per digitalizzare, fotografare, registrare, raccogliere foto, corredi, piatti, utensili da cucina, frasi, ricordi. Archiviare un paese, non per farne borgo da vendere, magari per innescare nell’invisibile una possibilità, poco romantica, molto reale. Archiviare un paese non per farne memoria da morire, magari per praticare una realtà di relazioni, che non si ritrovi nei soli funerali della comunità.

Il troppo inceppa. Il caldo di più. Entrare in casa di altri è difficile se non si è un perfetto paesano, l’imbarazzo incombe nel chiedere foto o parole, le idee frullano ma l’ansia le confonde, quasi a dubitare di saper fare quello che sai fare. Sciogliere è il segreto, come sopportare intanto il sudore e accettare la sensazione umida costante sul corpo. Sciogliere il troppo, a pezzi a pezzi, un minuto alla volta, lavorarci dentro mentre agisci fuori, fare, fare, fare. La voce si ammorbidisce, si chiacchera con la famiglia che non conosci e per la quale sei un estraneo, si chiacchiera con Antonio, Michelina, Fabrizio, con Franco e lentamente le cose accadono. La quantità arriva, foto, audio, testi, oggetti, arriva la fiducia, quel che resta, e resta la condivisione dei momenti, della cucina, di un mangiare assieme. Censire, archiviare, penetrare. Relazione. Censire, lavorare in gruppo, mediare silenziosamente, attenuare saperi per farli esplodere lenti in equilibrio con gli altri colleghi, Chiara Joyce Marianna Fabrizio, e giungere alla meta. E sono tante le mete e i gruppi (a nominarli tutti non ci proverei) che alla fine, nella settimana di ricerca che si è svolta dal 17 al 22 luglio nell’ambito del Progetto “Archivio Atena”, si sono realizzati per portare in archivio centinaia di foto e documenti di gente e cose di Atena Lucana.  Documenti da censire e restituire alla comunità, questa volta, in questo corso, grazie al maestro sensibile Mauro Bubbico e ai ragazzi dell’ISIA di Urbino, con ore e ore di lavoro grafico a pensare meraviglie e reali visioni. Le scopriremo…

E se c’è troppa poesia o intenzioni serie, allora fate solo che è stato un bel corso di formazione!

Centrale a Biomasse, quando i sospetti aiutano

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Centrale a biomasse di Atena Lucana. Una vicenda iniziata nel 2006. Acquisto di terreni tra Atena e Polla per la localizzazione della centrale, decreti regionali a favore di società nate solo per partecipare al Bando di finanziamento per la realizzazione di numerose centrali, l’interessamento del Comitato per l’ambiente del Codacons, i sospetti dell’oncologo Marfella, l’inchiesta giornalistica, audizioni in Regione Campania. Tutto questo porta alla segnalazione di casi sospetti (con origine a Pignataro Maggiore in provincia di Caserta) e alle indagini della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che alla fine emette 23 ordinanze di custodia cautelare.

La centrale ad Atena Lucana non si farà come tante altre. Il video fu realizzato prima delle indagini e degli arresti. L’attenzione dei cittadini resta fondamentale per prevenire danni al territorio in cui viviamo. L’azione dei cittadini è determinante per fare chiarezza sulle cose e illuminare i percorsi istituzionali.

Dopo anni di processo, le cose continuano ancora. Il 30 settembre 2021, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dottoressa Cettina Scognamiglio, ha rinviato a giudizio 18 persone nell’ambito del procedimento ribattezzato “Biopower 1” e legato al vorticoso giro di tangenti elargite dai responsabili della società casertana a funzionari e politici. Nel decreto sono state stralciate le posizioni di Vincenzo Di Santo, Gianpiero Tombolillo, Eugenio Di Santo, Giorgio Magliocca e Piergiorgio Mazzuoccolo. Il primo ha chiesto il patteggiamento ed è stato giudicato in una ulteriore “coda” dell’udienza preliminare il diciassette di ottobre.

Tombolillo (uno degli imprenditori che gestiva la società Biopower srl) ed Eugenio Di Santo (il coordinatore della segreteria particolare dell’assessorato regionale alle attività produttive ai tempi di Andrea Cozzolino), che hanno chiesto il patteggiamento, sono stati già condannati rispettivamente a 1 anno 10 mesi e 20 giorni, e a 1 anno e 8 mesi (entrambi con pena sospesa).

Rifiuti, oggi come ieri?

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Smaltimento rifiuti, compostaggio, impianti mal trattati, ecoballe portate di qua e di là, camion fermati, altri che riversano nei terreni, impiegati che diventano dirigenti, dirigenti che vengono denunciati, altri che vengono arrestati, qualcuno che si salva, privati che ci guadagnano, molti che ci risparmiano. Ma in genere nei rifiuti, c’è un gran mare di soldi. Tredici anni fa c’era una guerra tra Comuni. Oggi, 2021, qualcosa è cambiato, ma molte dinamiche si ripresentano e problemi irrisolti vengono a galla. Soprattutto la cronaca, le dinamiche politiche, le soluzioni mancanti continuano a generare un grande alone di sospetto intorno a questa materia.

La memoria visiva RESTA

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Giusto per ricordare e far vedere, perché la memoria visiva è importante, soprattutto fra qualche anno, quando magari tutto sarà disperso in carte e presunzioni di colpevolezza o di innocenza o, peggio, in tempi ormai scaduti e giudizi mancati. Cose già viste in questa terra come in altre, come nel processo Chernobyl quando dopo un anno da arresti e clamore, accadeva che a chiamare gli uffici tecnici comunali e chiedere quale fosse la situazione dei terreni indicati come inquinati da sversamenti velenosi, si creò lo scompiglio perché i “bho” e i “dove sono” abbondavano, tanto che il grano, andando a vedere con gli occhi, su quei terreni nonostante tutto cresceva e si tagliava.

Così giusto per ricordare e mettere in archivio vivente, richiamandoci all’Operazione Febbre Sharam Rifiuti del 12 aprile nel Vallo di Diano, questa è la situazione del terreno utilizzato per smaltire il liquame pericoloso ecotossico (perché a quanto pare il terreno provato uno è, ma i liquidi non restano sospesi, piuttosto circolano e vanno oltre in terreni quantomeno confinanti). Come mostrato nel video, è il terreno con l’albero, attiguo all’abitazione di chi, autotrasportatore di Atena Lucana, ha sversato e confessato e che magari per cautelarsi e cautelarci, farebbe gran cosa a recintare il suo e quelli confinanti, in modo da evitare che le pecore possano andare a brucare erba , o che qualcuno semini e raccolga fieno e orto. Sempre che non lo abbiano già fatto (brucare e seminare) in un anno e oltre, da quando l’operazione investigativa ha portato a compimento i primi risultati.

Il terreno provato è dunque uno ma la testimonianza dell’autotrasportatore, lascia il sospetto su altri siti nei quali i Cardiello avrebbero smaltito rifiuti pericolosi, e nello specifico l’area dell’azienda  dismessa “Caputo srl”, presente nella zona industriale di Polla (nel video), e aree di competenza del Centro Sportivo Meridionale di San Rufo. Zone queste perquisite e poste a sequestro a fine Gennaio 2020.

Ma il terreno provato per ora è ad Atena e necessita secondo le analisi tecniche di una profonda bonifica.

Ben venga la Rete RESTA, appena costituitasi che chiede analisi nei terreni e bonifiche rapide e certe. Il tempo trascorso è già tanto e perduto. Non ne perdiamo altro. Qui il comunicato.

Salvatore Medici

Vivo nel pianeta spazio libero del Vallo di Diano

SCRITTO NEL 1999

Vivo nel pianeta spazio libero del Vallo di Diano che poi tanto libero non è, e se vuoi fare qualcosa d’importante bisogna che ti adatti o semplicemente non la fai, perché non puoi, perché non c’è.  Cielo plumbeo, ore lente e assurde, quasi quasi prendo la macchina e corro come un pazzo, sarà solo la mancanza del sole oggi o chissà, ma vorrei squarciare questo quadro e scoprirne un altro, comprendere che c’è altro dietro. Come al solito. Come al solito. Il titolo del quadro: come al solito. “Sud Sud Sud insisti ca’ resisti” come dicono gli Almamegretta o “Sud Sud Sud insisti ca muori”?. E faccio domande di lavoro, domande al nord e cambiare situazioni impossibili. Il sole non è tutto, dopotutto.

La stanchezza ti sconvolge, prende il corpo, la mente e con andamento lento li fa roteare in un vortice di sabbia, molle, quasi liquido, poi ad un tratto silenzio; duro come una roccia, il pensiero chiude gli occhi, i nervi s’irrigidiscono, le parole in un disperato Perchè appassiscono e…Sono attimi, solo attimi, la sera più che altro, la mente soprattutto, un vortice, poi silenzio. Ma si ricomincia.

Il fatto è che qui da noi ci sono pochi momenti di espressione, pochi interessi sociali, culturali. Bar e videogiochi, stanze solitarie e macchine a mille all’ora. Per non parlare, quando non c’è il lavoro e il lavoro non c’è. Anche quando da parte dei ragazzi c’è l’immenso piacere di restare, è necessario partire, condizioni di forza, catene e limiti. Non sono pessimista, ho mille interessi e tanto cibo per l’anima, sarà per questo che resto qui e lotto, nei dovuti termini, per carità, ma lotto. Amo la montagna, il profumo dell’erba in primavera e quello della terra bagnata dalla pioggia, amo le pietre per quello che possono essere, e le case antiche e i centri storici, e il fermarsi un attimo per riposare, i contadini, e i posti dove c’è tanto da fare, e amo i miei e mia nonna e gli amici con gli stessi problemi, fare insieme qualcosa che abbia senso e piacere. Amo i ritmi lenti e vivi, e i vecchi racconti, e le panchine e… Aspirazioni, desideri liberatevi. Montagne del Sud. Ma le scaleremo queste montagne? Non so, forse non lo dobbiamo fare, ma siamo costretti a farlo perché per goderci la vita siamo tenuti a seguire strade che non ci appartengono.

Battiti, battiti, battiti al petto e alla testa, continui; parole, parole, parole, parlare con gli altri; giri e curve, poi veloci, dritti verso una missione, verso un progetto, poi si rigira e di nuovo si riparte. C’è tanto da creare, da fare, da dire nella quotidianità del nostro tempo e della nostra zona, dopotutto.

In attesa!

Salvatore Medici

I grani del futuro. Intervista a Salvatore Ceccarelli

Salvatore Ceccarelli è un genetista italiano di fama internazionale. Dal 1984 al 2008 è stato responsabile del programma di miglioramento genetico dell’orzo presso il centro di ricerca ICARDA in Siria, producendo nuove varietà oggi coltivate in 24 paesi. Da molti anni, ha avviato una nuova tipologia di ricerca scientifica secondo il metodo partecipativo, coinvolgendo direttamente gli agricoltori nel miglioramento evolutivo dei cereali. Un metodo in aperto contrasto con la filosofia dominante del miglioramento genetico che si basa sulla produzione di varietà grazie all’ausilio di concimazioni, anticrittogamici e diserbanti. Da alcuni anni ha avviato la sperimentazione dei miscugli, cioè la mescolanza di tantissime varietà diverse della stessa specie di cereali (grano duro, grano tenero, orzo, riso, mais). I miscugli garantirebbero di mangiare cibi più sani, adattare le colture al cambiamento climatico, riportare il controllo dei semi nelle mani degli agricoltori, aumentare le produzioni e contemporaneamente la biodiversità.

Da un punto di vista nutrizionale c’è differenza nel cibarsi di grani e farine industriali, rispetto ai grani antichi?

Secondo alcuni studi che sono stati fatti recentemente e che hanno coinvolto alcuni ricercatori piemontesi, le vecchie varietà hanno due grosse differenze rispetto alle moderne. Innanzitutto non sono geneticamente uniformi e quindi hanno meno probabilità di causare intolleranza al glutine perché hanno diverse molecole di glutine al loro interno. Di recente abbiamo sperimentato un miscuglio di grani di antiche varietà, nel quale sono presenti migliaia di molecole di glutine diverse, nessuna delle quali provoca allergie. In genere a provocare l’allergia è la gliadina che nelle varietà moderne di cereali industriali è presente in grosse quantità. Nelle varietà antiche oltre alla minima presenza della molecola negativa, sono presenti anche tante altre molecole di glutine non allergiche. Quindi in un miscuglio di varietà antiche il rischio di allergia diminuisce notevolmente. Inoltre la seconda caratteristica dei grani antichi è che in essi si trovano micronutrienti scomparsi nelle varietà moderne. In pratica c’è una maggiore biodiversità, un numero superiore di elementi che arricchiscono la flora intestinale e difendono il nostro organismo.  

Come si sono evoluti i grani industriali che abbiamo oggi?

La diminuzione della biodiversità è stata in larga misura causata dall’agricoltura industriale e dalla rivoluzione verde degli anni ’60, basata su poche varietà di cereali geneticamente selezionate, spesso imparentate tra di loro e che rispondono in modo uniforme a fertilizzanti, erbicidi e pesticidi. Si stima che nel mondo vi siano 250 mila specie vegetali, di cui circa 50.000 sono commestibili, in realtà noi ne mangiamo solo 250 di cui 15 forniscono il 90% delle calorie nella dieta umana e solo tre (riso , mais e grano) il 60%. Queste tre colture sono quelle in cui il miglioramento genetico convenzionale ha drasticamente ridotto la diversità genetica. Un paio di studi pubblicati recentemente dimostrano la relazione esistente tra l’aumento dell’uniformità di ciò che mangiamo, la diminuzione della biodiversità nella flora intestinale e un aumento di malattie come i tumori. La ricerca ha cominciato a chiarire che l’aumento della frequenza di molte intolleranze, ma anche di malattie come il diabete, l’obesità e vari tipi di tumori, è associata quindi alla crescente uniformità del cibo che mangiamo. Pertanto va benissimo introdurre varietà antiche di una stessa specie come il grano, il mais o il riso, ma vanno introdotte anche nuove specie come per esempio il miglio o l’orzo. Penso per esempio all’orzo dei Grigioni.

Tornando al grano, uno di quelli antichi che sta avendo un grosso successo è il senatore cappelli. Come mai?

Ricordo che parecchi anni fa, del senatore cappelli si occupava anche la Barilla, in quanto si riconosceva la qualità del glutine insuperabile da un punto di vista nutrizionale. La qualità della pasta per esempio è indiscutibile. Oggi cercano di appropriarsene tutti, ma bisogna capire come è coltivato e questo si può fare solo andando nei campi, perché il grano senatore cappelli è riconoscibile e unico, per la sua altezza e la spiga rigogliosa.  

Adottare grani antichi o miscugli di grani e riversarli sul mercato è possibile?

Oggi  tutto dipende dalla valenza economica di un alimento. I cereali industriali hanno dei costi bassi sul mercato, difficilmente equiparabili. Ma è anche vero che con la varietà antiche dei grani è possibile ottenere molti risparmi. Consideri che mia suocera che ha 85 anni compra un pane ricavato da un miscuglio di grani ancestrali a 6 euro al chilo, ma alla fine del mese non spende di più, perché il pane dura una settimana, sazia di più, quindi ne mangia meno. A Bologna da un anno è nato un forno che utilizza farina di miscugli di cereali antichi, lo vende a prezzi esorbitanti, ma ha la coda fuori dal negozio di anziani, pensionati e lavoratori perché si sentono meglio. Il concetto di miscuglio dei grani e dei semi ha un significato economico importante, in quanto a lungo termine permette di risparmiare. In base alle sperimentazioni su un miscuglio di centinaia di orzi che stiamo facendo in Iran, sta emergendo una maggiore adattabilità al cambiamento climatico, una resa costante del prodotto e la riduzione delle infestanti senza intervento della chimica. Questo è stato verificato anche con i grani antichi in Sicilia, mentre stiamo preparando un progetto europeo per il miglioramento genetico nell’agricoltura biologica. Questa oggi si avvale di varietà di semi non pensate per il biologico ma per l’agricoltura industriale e quindi i costi per produrre sono superiori. Con questo progetto utilizzeremo migliaia di semi di varietà antiche in ambiente bio, che penso garantiranno una maggiore resa e prezzi minori. 

SALVATORE MEDICI

Il buio è buio, tutto o nulla

Accadimenti by

Rannicchiarsi, camminando incerto. Rannicchiarsi, incerto nell’ascolto. Stringendo le spalle, incassando la testa, cauto mi tuffo nel nero, lasciandomi alle spalle la neve che cade fuori, bianca se la vedi, eppure fresca se la tocchi, eppure fragrante se la odori.

Una cena è solo una cena, speciale se è al buio. La prima volta che ne ho sentito parlare ero a Lugano, quattro anni fa. L’associazione di ciechi invitava a cena un gruppo di giornalisti e il mio collega Paolo ne ha scritto e raccontato il giorno dopo. Quattro anni e stasera me la ritrovo, un po’ voluta, un po’ per caso, qui nella mia terra, a Sant’Arsenio in provincia di Salerno, grazie all’associazione Voltapagina che la organizza in collaborazione con il CSV Sodalis di Salerno e a Gelsomina Palmieri, la tiflologa, (non sapevo cosa fosse prima, mea culpa) che nel Vallo di Diano l’ha proposta per la prima volta. E questa sera a cena vado anche io, insieme a colleghi giornalisti, persone cieche o ipovedenti. Disabilità visiva si chiama, ma quando entro nella saletta adibita a cena, buia, la sensazione è il disagio del corpo, l’incertezza fisica nella sua pienezza. A recuperarmi dall’impatto oscuro è Imma, cameriera ipovedente, che mi dà il suo braccio, poi la spalla e lentamente mi accompagna a raggiungere la sedia, agguantata dopo scomposti movimenti. Il buio è buio, nulla o tutto, ma è buio e ti prende il corpo, incassandolo dentro. Mi rannicchio accanto agli altri ospiti seduti a tavola. Mi avvicino prudente a prendere bottiglie dal basso e bicchieri che non riempio per paura di versare liquidi. Non c’è il tempo di parlare con chi mi sta vicino, preso a capire cosa mi ruota intorno. Inutili tentativi, il buio è il buio, tutto e nulla, e percepirlo come abitudine sembra impossibile. Per Francesco che è dall’altro lato del tavolo è impossibile accettare il buio fino in fondo, soprattutto se hai visto il mondo prima, quando magari guidavi, e poi lentamente o improvvisamente tutto inizia a sfumare, fino a non vedere che il nulla, dieci anni di buio, ora che ne ha 40 e una vita davanti. Eppure stasera, Francesco sorride e ha la forza di chi, nonostante non accetti ancora, è andato a Bologna da solo per frequentare un corso per non vedenti, è tornato nel Vallo di Diano a vivere da solo in appartamento, perché ha 40 anni e non può vivere ancora con i genitori. Come dire, quando il buio diventa tutto. La voce di Imma annuncia piatti in arrivo, il primo. L’istinto è prendere tutto con le mani, che le posate sembrano larghe. Chicchi di riso con tartufo e sfoglia di pasta che volano via sul tavolo o a terra, tra salsa e chissà che altro. A non vedere non sai cosa mangi, se non annusando o aspettando suggerimenti dagli altri. Raffaele Rosa, l’animatore della serata e presidente dell’Unione Ciechi di Salerno, lo chiede a tutti: “Cosa state mangiando?”. I camerieri Imma, Giuseppe, Costanza aspettano le risposte. Vengono da Salerno e Napoli ma conoscono il Vallo perché a Polla c’è una sezione dell’Unione.  Cosa stiamo mangiando non lo sapremo mai esattamente, gli altri sensi dovrebbero aiutarci ma non sono immediati. Neanche l’udito è poi così attento. Accanto a me c’è Luigi, 63 anni, cieco da 5 anni dopo un glaucoma. Per ascoltarlo mi abbasso in avanti. Ci spiega come prendere il cibo dal piatto e intanto saluta la moglie all’altro tavolo e poi un amico al terzo tavolo, invitandolo a cantare. Ad accettare la sua disabilità per ora non ci pensa. “Se fossi nato cieco, forse sarebbe stato diverso, ma ora…Ero un direttore commerciale, sempre in giro, lavoravo tanto, troppo, lo stress mi ha rovinato. La disabilità ti cambia, i pensieri sono tanti, brutti, per fortuna c’è la famiglia, ci sono le responsabilità e c’è chi mi aiuta. Ma il bastone o il cane per passeggiare non li voglio. Non li accetto”. Le sensazioni variano nel racconto, nelle parole. Arriva il secondo e i tentativi di acciuffare il cibo si fanno goffi. A tratti, In bocca arrivano pezzi interi di carne, cipolle e frittata di qualcosa. Insomma, al buio, tutto o nulla. La pancia è già piena, ma la curiosità resta e mi sporgo davanti ad ascoltare ancora Luigi che, tra una risata e un consiglio, si rammarica di una cosa: la commozione. Quella che non riesce a provare, a percepire, a vedere, quando la nipote che ha davanti o la persona che ha di fronte, si lascia andare a un’emozione, “mi manca, la commozione mi manca”. Ho sete, riempio il bicchiere d’acqua, mentre arriva il dolce che assaggio soltanto un po’. Il tempo è veloce, un’ora breve sta finendo e così dopo aver ringraziato tutti, dal Comune di Sant’Arsenio per la disponibilità della sala, ai giornalisti, a Francesco, Luigi, Nunzia e Umberto, i camerieri dell’Unione accendono le luci. Gli occhi si chiudono, poi si stringono e lentamente si riaprono a guardare gli altri.

Cauto mi tuffo nel bianco, più consapevole di prima, più naturale di prima, lasciandomi alle spalle quella neve fuori che è bianca solo se la vedi, ma è anche fresca se la tocchi e fragrante se la odori.

Salvatore Medici

Amore a Casa Astra

“Ma allora la vostra è una grande storia d’amore?”

Storie by

Martino: “Ci siamo trascinati male, sai. A 51 anni bisognerebbe essere forti e maturi ma invece si può essere ancora deboli. E lei è più debole di me, ne ha avuto di problemi pure lei. Abbiamo vissuto momenti brutti, ma adesso cerchiamo di risalire.  Adesso la cosa che voglio è andare via da queste zone del Mendrisiotto, andare verso il Luganese, vivere da soli. Abbiamo ospitato in casa una persona che ci ha divorato tutto, tutti i nostri soldi, perché gli abbiamo dato fiducia. Una mela marcia. Ora la cosa importante è ricominciare, la situazione non è drammatica, è recuperabile e dobbiamo iniziare con una casa nuova, una casa nostra, soli. A 51 anni non si può ancora vivere con la paghetta della mamma. Tante cose sono accadute per colpa nostra, gli sbagli si fanno, poi s’incontrano persone che come vermi ti mangiano completamente. Adesso basta, cerchiamo di vivere gli ultimi anni tranquilli, speriamo che tutto vada bene.

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La primavera del coraggio in una stanza di vestiti

Approfonderie by

Quando la primavera , i suoi caldi, i suoi profumi inondano all’improvviso un sabato pomeriggio di marzo, la leggerezza è la sensazione principale che scorre nella mente e sulla pelle e pervade, anche quando non dovrebbe, tutto quello che va oltre il nostro corpo, gli ambienti, le persone, le sofferenze,  gli sforzi, la rabbia e i problemi. Questo stesso respiro pervade anche lo stanzone a piano terra della parrocchia di Rebbio a Como, quella di Don Giusto con le sue battaglie per accogliere i migranti. Quattro donne sono sedute al lungo tavolo della mensa, fanno conti e parlano, mentre una quinta prepara il caffè al banco del bar. Agli altri tavoli e sui divani siedono ragazzi africani. Chi ascolta musica con lo smartphone, chi gioca con una ragazza, chi legge qualcosa o se ne sta con lo sguardo dritto a pensare, chi si alza. Fuori il viavai è ancora più intenso, ci sono due strutture nelle quali entrano altri ragazzi africani e arabi, dall’altra parte della strada c’è invece un campetto da calcio e tanti che corrono a calciare palla.  Don Giusto oggi non c’è, si trova a Monza per il Papa, ma qui le volontarie sono operative e fondamentali.

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